Realtà virtuale

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Data Gloves, strumento che permette all’utilizzatore di interagire con l’ambiente virtuale

1. Definizione e origine storica

Con il termine r.v. si designa un mondo parallelo a quello reale, costituito da immagini di sintesi (cioè elaborate dal computer), con il quale l’utente può entrare in contatto attraversandolo o manipolando oggetti in esso contenuti.
Il concetto compare per la prima volta nel 1965, quando il padre della computergrafica, Ivan Sutherland, fa riferimento a una installazione capace di costruire un "paese delle meraviglie matematico" in cui tutti gli stimoli percettivi di un soggetto possano essere sostituiti con stimoli generati elettronicamente. L’intuizione, relativamente semplice, che sta alla base della scoperta è che una qualsiasi forma geometrica che si possa descrivere matematicamente può esistere entro uno spazio generato da un computer.
È lo stesso Sutherland a realizzare, presso la Utah University, nel 1968, il primo dispositivo per la visione stereoscopica: la famosa spada di Damocle. Affine ai simulatori di volo per l’addestramento dei piloti aeronautici (ne erano già stati progettati da Edwin Link per l’esercito americano alla fine degli anni Venti), l’installazione di Sutherland prevedeva l’immersione del soggetto in una rappresentazione tridimensionale della realtà generata dal calcolatore, con un effetto-verità straordinariamente più efficace di quello ricavabile dalla interazione con uno schermo piatto mediante joystick.

2. Elementi strutturali

L’attrezzatura standard per il consumo di r.v. – tralasciando il data-suite, la tuta integrale – è oggi costituita da un casco HMD, che consente l’immersione nel mondo virtuale e da un guanto interfacciato con il computer (Dataglove) per favorire l’interazione dell’utente con questo mondo.
Il casco HMD (Head-Mounted Display) consta di tre parti strutturali. Anzitutto un generatore di immagini, cioè uno schermo a cristalli liquidi (Liquid Crystal Display) o a tubo catodico (Catodic Tube) su cui si fissano le immagini di sintesi generate dal calcolatore: nel primo caso si guadagna sul peso e sull’ingombro dell’apparecchiatura, nel secondo in definizione. Oltre a ciò, un treno ottico – cioè un sistema di lenti che svolge sostanzialmente due funzioni: proietta l’immagine a una distanza sufficiente dall’occhio, perché possa essere messa a fuoco – la espande in modo da farle occupare il più possibile di campo visivo facilitando l’effetto di immersione. Infine, un supporto fisico di tutto questo – il casco – evitabile con i nuovi sistemi VRD (Virtual Retinal Display) in cui un laser disegna le immagini direttamente sulla retina.
Il primo dataglove è lo Z-Glove della VPL, che compare nel 1985 ed è il risultato del lavoro di Tom Zimmermann. Nel 1991 lo stesso Zimmermann e Jaron Lanier (fondatori, insieme a Steve Bryson, della VPL) depositano il brevetto del guanto come un Computer data entry and manipulation apparatus method, un dispositivo informatico di input e di manipolazione degli oggetti generati nell’ambiente virtuale creato dalla macchina: in sostanza uno strumento che rileva i movimenti della mano dell’utente e li proietta sugli assi cartesiani dello spazio tridimensionale generato dal computer. Nel 1989, intanto, la Mattel aveva ottenuto l’autorizzazione a sfruttare il prototipo di Zimmermann a fini commerciali: il risultato fu un sistema, il Powerglove, sviluppato da Rich Old, che costituisce il primo esempio di strumento di r.v. di consumo.
Proprio la necessità di questo abbigliamento (oltre alla potenza di calcolo necessaria per gestire le incredibili quantità di informazione su cui sono costruite le installazioni) ha costituito uno dei principali ostacoli a una diffusione capillare e domestica della tecnologia r.v. Un problema su cui le industrie di settore (tra tutte la Visual Programming Research Inc. dello stesso Lanier, leader in questo campo) stanno lavorando per favorire una vera e propria esplosione del consumo di virtuale, analoga a quella che nel decennio scorso ha avuto per protagonista il PC.
Non hanno questo tipo di problema le tecnologie che vengono definite enuncumbering, non ingombranti, perché non necessitano di dispositivi come il display o il dataglove. Costruite come degli spazi con cui l’utente può interagire mediante la sua icona sintetica visualizzata su uno schermo bidimensionale, esse richiedono una complessità di programmazione notevolmente inferiore rispetto ai sistemi di r.v., presentano una maggiore rapidità dell’interazione e una superiore facilità di accesso, anche se devono sacrificare il realismo della simulazione e l’efficacia dell’effetto di immersione tipici dei sistemi di r.v. Questo secondo tipo di sistemi, correttamente definito Realtà Artificiale (RA), trova nella sperimentazione di Myron Krueger la propria genesi (le prime realizzazioni sono della seconda metà degli anni Sessanta) e nelle videoinstallazioni museali le loro più diffuse applicazioni.

3. Applicazioni

Due sono gli ambiti applicativi per ora più frequenti del virtuale. Anzitutto l’ambito di quella che si può definire ‘simulazione pre-reale’, cioè di tutte quelle applicazioni del virtuale che consentono di simulare delle esperienze reali, prevedendone in anticipo le caratteristiche. È questo lo spazio dell’addestramento virtuale, nei settori più disparati. Alcuni esempi. Quello classico è la simulazione del volo nell’addestramento dei piloti. Ma anche il settore medico e quello della ricerca fisica stanno usufruendo di sempre nuove applicazioni. È il caso del Nanomanipulator, un sistema elaborato nel 1992 dall’Università di North Carolina e della California, che consiste di un microscopio STM (Scanning Tumeling Microscope) interfacciato con un casco HMD e un sistema per la manipolazione remota con ritorno di forza: un dispositivo che consente al ricercatore di osservare in tre dimensioni una superficie dell’ordine di un miliardesimo di metro, muoversi su di essa e manipolarla. Altro esempio è quello di Virtual acclamen, un sistema messo a punto dall’ARPA (Advanced Research Projects Agency) dell’esercito USA, per l’addestramento dei chirurghi.
Accanto a questo primo settore, che rivendica uno spazio di utilità, si colloca l’ambito che potremmo definire ‘simulazione sostitutiva’, cioè l’ambito delle applicazioni il più delle volte ludiche, che più che simulare tendono a creare uno spazio reale. È questo il settore dei videogiochi, degli sviluppi della computergrafica, delle animazioni cinematografiche (si pensi a Roger Rabbit, Jurassic Park, Forrest Gump, The Mask o al recente Final Fantasy, che hanno sollevato un dibattito sul futuro del cinema dopo l’avvento della nuova stagione della virtualità nel campo degli effetti speciali).

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Rivoltella Pier Cesare , Realtà virtuale, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (21/11/2024).
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