Fantascienza
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Autore: Carlo Tagliabue
Tra i molti prodotti ereditati dall’età positivista oltre al cinema, naturalmente esiste un genere di matrice letteraria che è riuscito a rappresentare paure e angosce dell’uomo tecnologico di fronte alle imprevedibili conseguenze delle applicazioni delle sue scoperte: la f., con i suoi alieni, replicanti, universi paralleli, ritorni al futuro, dischi volanti, marziani, Ufo, scienziati pazzi, ultracorpi, viaggi nello spazio e nel tempo alla scoperta di nuovi mondi e di nuove galassie. Direttamente derivato da quello che nell’Ottocento veniva definito romanzo scientifico, questo genere cinematografico tra i suoi ispiratori ha scrittori come Herbert G. Wells (La macchina del tempo, 1895, L’uomo invisibile, 1897 e La guerra dei due mondi, 1898) e, soprattutto, Jules Verne (1828-1905), che nei suoi libri ha anticipato molte delle scoperte e delle conquiste realizzate dall’uomo nel corso del ventesimo secolo (interessante, a questo proposito, la coincidenza geografica tra il luogo da dove partono gli astronauti del suo romanzo Dalla terra alla luna (1865) con Cape Canaveral, l’odierna base di lancio delle navicelle spaziali americane). E non è un caso che sia stato proprio Verne il primo autore di f. a essere tradotto sullo schermo: infatti nel 1902, Georges Méliès realizza Voyage dans la lune, ispirato, appunto, all’opera dello scrittore francese.
Un dato significativo che caratterizza la f. è la presenza al suo interno di implicazioni filosofiche, politiche, sociali e perfino teologiche. Di fronte al potere sempre più grande dell’uomo sulle forze della natura, si ripropongono antiche paure: il predominio della scienza schiaccia la libertà degli individui; la perdita del controllo degli strumenti tecnologici inventati dall’uomo preconizza scenari inquietanti per la società; l’aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 3) sembra inchiodare gli individui a un destino che puntualmente frustra ogni spinta per la conquista di un’anelata onnipotenza; il desiderio di scoperta e di conquista di nuovi spazi dell’universo suscita attrazione e angoscia, al tempo stesso. "Sembrava di stare a Metropolis", diranno alcuni sopravvissuti di Auschwitz: il film di Fritz Lang (1926) appare, così, profezia di una delle catastrofi più terribili dell’umanità come il nazismo.
C’è da dire, tuttavia, che il grosso della produzione dei film di questo genere si trova nel cinema hollywoodiano degli anni Cinquanta. I motivi della proliferazione dei film di f. in questo periodo sono legati, ancora una volta, a quanto sta accadendo sullo scenario internazionale: la guerra fredda, la paura di una catastrofe nucleare, le varie notizie sui dischi volanti o sugli Ufo. I film di questo periodo, ormai diventati dei classici di questo genere, sono Ultimatum alla Terra (1951) di Robert Wise, La guerra dei mondi (1953) di Byron Haskin, L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel, Il pianeta proibito (1956) di Fred McLeod Wilcox, L’ultima spiaggia (1959) di Stanley Kramer.
Nei decenni successivi la paura di un conflitto finale e definitivo per l’umanità si acuisce sempre di più: la tecnologia nelle mani dell’uomo diventa uno strumento perverso e non più dominabile, quando il delirio di onnipotenza si impadronisce di chi ha in mano i destini di una nazione. I film di f. si tingono, così, di fantapolitica, come Il dottor Stranamore (1963) di Stanley Kubrick, Sette giorni a maggio (1964) di John Frankenheimer, A prova di errore (1964) di Sidney Lumet; oppure descrivono un mondo ridotto a uno stato primordiale dopo una catastrofe nucleare, come Il pianeta delle scimmie (1968) di Franklin Schaffner, 2022: I sopravvissuti (1973) di Richard Fleisher e tanti altri.
La f. degli ultimi decenni affronta più in profondità i molti temi legati strettamente al nostro inconscio, agli archetipi che generano paura, a un nemico che ci minaccia dall’interno di noi stessi: i mostri, in questo modo, non provengono più da mondi esterni ma albergano dentro l’uomo; l’ignoto da affrontare e da scoprire è un inquilino scomodo del nostro stesso essere. Così, partendo da 2001: odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, si arriva ad Alien (1977) e a Blade Runner (1982) di Ridley Scott.
Negli ultimi anni i temi apocalittici, legati alle paure di fine millennio, hanno riportato in auge il tema della catastrofe, come in Armageddon (1998) di M. Bay, e la visione di mondi futuri dove la realtà viene frantumata in un universo senza più tempo e spazio, in una complessa rappresentazione, in cui scienza, filosofia e istanze religiose convivono e si mescolano, riproponendo le eterne domande, che da sempre hanno accompagnato l’uomo nel cammino su questa terra e che hanno nel mistero dell’esistenza la loro radice più angosciante. È la sindrome di Ulisse che si ripete all’infinito come in Cube (1999) di V. Natali o Matrix (1999) di A & L. Wachowski. Probabilmente ha ragione l’attrice Margherita Buy, che, alla domanda su quale fosse il film della sua vita, ha risposto: "2001: odissea nello spazio, perché, dopo che ho visto questo film, ho capito ancora meno chi siamo, dove andiamo e da dove veniamo".
Un dato significativo che caratterizza la f. è la presenza al suo interno di implicazioni filosofiche, politiche, sociali e perfino teologiche. Di fronte al potere sempre più grande dell’uomo sulle forze della natura, si ripropongono antiche paure: il predominio della scienza schiaccia la libertà degli individui; la perdita del controllo degli strumenti tecnologici inventati dall’uomo preconizza scenari inquietanti per la società; l’aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male (Genesi 3) sembra inchiodare gli individui a un destino che puntualmente frustra ogni spinta per la conquista di un’anelata onnipotenza; il desiderio di scoperta e di conquista di nuovi spazi dell’universo suscita attrazione e angoscia, al tempo stesso. "Sembrava di stare a Metropolis", diranno alcuni sopravvissuti di Auschwitz: il film di Fritz Lang (1926) appare, così, profezia di una delle catastrofi più terribili dell’umanità come il nazismo.
C’è da dire, tuttavia, che il grosso della produzione dei film di questo genere si trova nel cinema hollywoodiano degli anni Cinquanta. I motivi della proliferazione dei film di f. in questo periodo sono legati, ancora una volta, a quanto sta accadendo sullo scenario internazionale: la guerra fredda, la paura di una catastrofe nucleare, le varie notizie sui dischi volanti o sugli Ufo. I film di questo periodo, ormai diventati dei classici di questo genere, sono Ultimatum alla Terra (1951) di Robert Wise, La guerra dei mondi (1953) di Byron Haskin, L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel, Il pianeta proibito (1956) di Fred McLeod Wilcox, L’ultima spiaggia (1959) di Stanley Kramer.
Nei decenni successivi la paura di un conflitto finale e definitivo per l’umanità si acuisce sempre di più: la tecnologia nelle mani dell’uomo diventa uno strumento perverso e non più dominabile, quando il delirio di onnipotenza si impadronisce di chi ha in mano i destini di una nazione. I film di f. si tingono, così, di fantapolitica, come Il dottor Stranamore (1963) di Stanley Kubrick, Sette giorni a maggio (1964) di John Frankenheimer, A prova di errore (1964) di Sidney Lumet; oppure descrivono un mondo ridotto a uno stato primordiale dopo una catastrofe nucleare, come Il pianeta delle scimmie (1968) di Franklin Schaffner, 2022: I sopravvissuti (1973) di Richard Fleisher e tanti altri.
La f. degli ultimi decenni affronta più in profondità i molti temi legati strettamente al nostro inconscio, agli archetipi che generano paura, a un nemico che ci minaccia dall’interno di noi stessi: i mostri, in questo modo, non provengono più da mondi esterni ma albergano dentro l’uomo; l’ignoto da affrontare e da scoprire è un inquilino scomodo del nostro stesso essere. Così, partendo da 2001: odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick, si arriva ad Alien (1977) e a Blade Runner (1982) di Ridley Scott.
Negli ultimi anni i temi apocalittici, legati alle paure di fine millennio, hanno riportato in auge il tema della catastrofe, come in Armageddon (1998) di M. Bay, e la visione di mondi futuri dove la realtà viene frantumata in un universo senza più tempo e spazio, in una complessa rappresentazione, in cui scienza, filosofia e istanze religiose convivono e si mescolano, riproponendo le eterne domande, che da sempre hanno accompagnato l’uomo nel cammino su questa terra e che hanno nel mistero dell’esistenza la loro radice più angosciante. È la sindrome di Ulisse che si ripete all’infinito come in Cube (1999) di V. Natali o Matrix (1999) di A & L. Wachowski. Probabilmente ha ragione l’attrice Margherita Buy, che, alla domanda su quale fosse il film della sua vita, ha risposto: "2001: odissea nello spazio, perché, dopo che ho visto questo film, ho capito ancora meno chi siamo, dove andiamo e da dove veniamo".
Video
Bibliografia
- CASAGRANDE-NAPOLIN Fabio - FEDRIGO Ivan - URSICH Erik, Attacco alieno! Guida al cinema d’invasione spaziale 1950-1970, Tunnel, Bologna 1998.
- MISTRETTA Gaetano et al., Fantasmi di luce, Mondo Ignoto, Roma 2001.
- MONGINI Claudia - MONGINI Giovanni, Storia del cinema di fantascienza, Fanucci, Roma 1999.
- MOSCATI Italo, 2001: un'altra odissea. Quando il tempo si innamorò del cinema, Marsilio, Venezia 2000.
- ROSSI Fabio - FONTANA Paolo, Il film di fantascienza, Vallardi, Milano 1998.
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Come citare questa voce
Tagliabue Carlo , Fantascienza, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/12/2024).
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